Le Origini dell’Olio di Oliva
La storia dell’olivo e dell’olio che si ricava dai suoi frutti inizia moltissimo tempo fa: già nel 5000 a.C. la coltivazione delle olive era praticata nelle regioni del Medio Oriente e da qui si diffuse poi lungo le coste del Mediterraneo, dell’Africa e del Sud Europa.
Prescrizioni relative alla produzione ed al commercio dell’olio sono presenti nel famoso codice babilonese di Hammurabi del XIX sec. a.C. e ciò dimostra che questa coltura era nota e diffusa nella fertile regione della Mesopotamia.
Rami d’olivo, albero da sempre sacro agli dei, loro dono degli dei, simbolo di vita e fecondità, adornavano le tombe dei faraoni egizi per accompagnarli idealmente nell’aldilà.
Dobbiamo poi ai Fenici, con i loro intensi commerci via mare, la diffusione e la conoscenza del prezioso “oro verde” presso tutte le più grandi civiltà dell’area mediterranea, soprattutto in Grecia dove era commercializzato come cibo, ma anche come medicamento, unguento, cosmetico e persino come protezione per gli atleti ed i guerrieri.
Si narrava che Atena vinse la contesa con Poseidone offrendo l’olivo all’umanità: un albero immortale che avrebbe assicurato agli uomini nutrimento, cura, forza e luce per le abitazioni ed era considerato sacro al punto che chi ne avesse tagliato anche uno solo veniva condannato alla morte o all’esilio.
La coltivazione dell’olivo si diffonde nel Lazio
La diffusione della coltura dell’olivo nel Lazio a partire almeno dal VII secolo a.C. è testimoniata da numerosi reperti archeologici; nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria infatti i contenitori di olio più antichi risultano essere in massima parte di importazione, poi, nel corso del VII sec. a.C. inizia una produzione locale di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi sempre più: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare prodotto localmente.
Le popolazioni italiche del Lazio, soprattutto gli Etruschi e i Sabini contribuirono dunque in modo significativo allo sviluppo dell’olivicoltura e delle tecniche di produzione che furono poi perfezionate e diffuse dai Romani.
Fu Roma a introdurre e promuovere la coltivazione dell’olivo nei territori conquistati, favorendone la definitiva diffusione in tutta l’area mediterranea. L’olio di oliva divenne così uno dei cardini dell’economia romana tanto da ispirare l’istituzione della figura dei negotiatores oleari, sorta di agenti di cambio le cui contrattazioni avvenivano nella arca olearia, una vera e propria borsa specializzata in compravendita di olio.
Olio Roma, un binomio antichissimo: Roma e la tecnica di produzione olivicola
I Romani conoscevano talmente bene il prodotto da mettere a punto una tecnica olivicola che è rimasta pressoché invariata fino al ‘900: la frangitura delle olive avveniva per mezzo del trapetum, un grosso mortaio, oppure per mezzo della mola olearia con base regolabile in modo da non schiacciare i noccioli delle olive. La pasta di olive ricavata dalla frangitura veniva posta all’interno dei fiscoli e spremuta con il torcular, un torchio a leva, a verricello o a vite. L’olio, misto all’acqua di vegetazione, veniva convogliato in un recipiente e poi versato in contenitori più grandi dove, per affioramento, era possibile eliminare la morchia.
L’olio che si otteneva poteva essere di diverse qualità ed in base ad esse cambiava il suo valore e la sua destinazione d’uso. Le varie categorie di olio erano individuate già molto chiaramente nell’antica Roma:
- Oleum ex albis ulivis olio di altissimo pregio ottenuto da olive ancora acerbe;
- Oleum viride ricavato da olive appena invaiate, anch’esso di alta qualità;
- Oleum maturum ottenuto da olive nere e già mature, di qualità considerevolmente inferiore;
- Oleum caducum di qualità mediocre, estratto da olive raccolte da terra;
- Oleum cibarium olio di pessima qualità ottenuto da olive aggredite da parassiti e destinato in parte all’alimentazione degli schiavi e in parte ad altri impieghi non alimentari.
I Romani e la qualità dell’olio: una storia ancora attuale
Primi a classificare l’olio in base alle sue caratteristiche organolettiche, i Romani furono anche precursori nella definizione dei principi tecnici e teorici che ancora oggi sono alla base della produzione di un olio di alta qualità. Negli scritti di Catone, Varrone, Columella – solo per citare alcuni degli autori romani più famosi – è concentrata una grande sapienza, di cui siamo oggi gli orgogliosi eredi.
Un olio commestibile deve essere buono, piacevole al gusto, inoltre è importate che sia salubre e nutriente; tutto questo si può ottenere solo rispettando rigorosamente un vero e proprio “disciplinare di produzione”, come quello che Marco Porcio Catone (234 a. C. – 149 a.C.) incluse nel suo trattato De Agricoltura.
Esemplare il passo in cui Catone spiega che fra la raccolta delle olive e la loro lavorazione deve passare il più breve tempo possibile:
“Olea ubi lecta siet, oleum fiat continuo, ne corrumpatur” scriveva il Censore, “Quando si sia fatta la raccolta delle olive se ne faccia l’olio subito, affinché non si guasti”, per poi proseguire ammonendo “Si in terra et tabulato olea nimium diu erit, putescet, oleum foetidum fiet : ex quavis olea oleum viridius et bonum fieri potest, si tempori facies” Se le olive staranno lungo tempo in terra o sul tavolato puzzeranno e l’olio sarà fetido: di qualunque sorta di olive si può fare un olio ben verde e buono, quando si faccia in tempo.
Probabilmente più di un agricoltore Latino deve aver dato ascolto al vecchio scrittore perché l’olio di Roma e delle aree limitrofe, di fatto l’attuale territorio della regione Lazio, godeva già nell’antichità di una chiara fama che lo distingueva da altri di provenienza diversa e di qualità decisamente inferiore.